AREE TEMATICHE --> GOVERNANCE
I cambiamenti intervenuti nel rapporto tra scienza e società sta incidendo profondamente
anche sugli assetti istituzionali e sull’insieme di diritti che si ricollegano alla nozione di
contratto sociale, e in particolare all’idea di Stato di diritto. I poteri riconosciuti ai cittadini nei
governi lato sensu liberal-democratici è stato prevalentemente quello di concorrere a
determinare l’orientamento politico con l’indicazione di voto. L’esigenza di rendere più
visibili e trasparenti i meccanismi e le procedure decisionali all’interno delle istituzioni ha
costituito in tempi più recenti un’ulteriore forma di (almeno potenziale) partecipazione
all’azione di governo, attraverso ciò che è sempre più riconosciuto come un ‘diritto di
conoscere’ (right to know) da parte dei cittadini.
Il corredo di garanzie che entra nella definizione di Stato di diritto non ha finora toccato le
specifiche garanzie nei confronti del sapere-potere della scienza, che pure è diventata tanta
parte delle scelte giuridiche e di governo. La nomina degli esperti, l’istituzione e il
funzionamento dei comitati scientifici e tecnici, e il sapere scientifico stesso, essendo considerati espressione di un metodo oggettivo e certo, non sono stati ritenuti materia
rilevante e problematica dal punto di vista della tutela che lo Stato offre ai cittadini.
La necessità di introdurre specifiche garanzie e diritti, come anche di promuovere una
maggiore partecipazione democratica della società civile, riguarda oggi specificamente la
regolazione della scienza, ambito in cui finora l’estraneità dei cittadini è stata pressoché
totale. Si tratta di integrare nella (ancora desiderabile) nozione di Stato di diritto le nuove
modalità di governo della scienza. Mancano attualmente garanzie specifiche di tutela dei
cittadini nei confronti dei poteri dello Stato che deliberano in sede tecnico-scientifica
(commissioni, comitati, esperti) analoghe a quelle che, tra Sei e Settecento, sono state
teorizzate e ancora costituiscono il nucleo dell’idea di Stato di diritto.
Il concetto stesso di democrazia esige oggi di essere rivisitato alla luce di un maggiore
coinvolgimento dei cittadini nelle questioni connesse alla tecnoscienza. La comunità
scientifica ha per lungo tempo rappresentato se stessa come una comunità di pari, aperta al
dissenso e scevra da influenze esterne (la “repubblica della scienza”). Di fronte all’emergere
di situazioni sempre più frequenti di incertezza scientifica, come pure in relazione al
coinvolgimento tra scienza e mercato, non solo questo ideale politico-giuridico della
comunità scientifica ha perso di credibilità e la necessità di dare voce alle frange minoritarie
della scienza è largamente auspicata, ma soprattutto tale modello non è più un punto di
riferimento per le istituzioni sociali.
In tal senso merita un cenno il recente documento europeo sulla “governance” (White Paper
on European Governance, 2001 (1), che affronta i problemi connessi alla riforma dei metodi di
governo in Europa in direzione di un approfondimento della democrazia. Il termine centrale
del documento è quello di governance, che allude a un sistema di governo che ricerchi
attivamente, tra l’altro, il concreto coinvolgimento dei cittadini, così da superare quel deficit
di democrazia di cui le istituzioni comunitarie sono state accusate –problema che, tuttavia,
riguarda le democrazie anche a livello nazionale.
Per quanto riguarda il governo della scienza, il documento sottolinea l’importanza del ruolo
che il diritto svolge nei confronti della scienza nel quadro dell’Europa comunitaria. Il diritto
appare particolarmente rilevante perché l’Unione Europea “comparativamente ai sistemi
politici nazionali, agisce molto più in sede di definizione di un quadro normativo che
mediante interventi economici” (2). La nuova epistemologia che le istituzioni europee, anche
grazie alla riflessione di singoli Paesi europei (3) -sia per propria tradizione democratica sia
sotto la spinta di emergenze che hanno messo in evidenza meccanismi decisionali deficitaristanno
cercando di costruire e attuare concretamente, collega in modo sostanziale le due
esigenze di una scienza più democratica e di una democrazia maggiormente partecipativa.
I problemi connessi con la regolazione giuridica della scienza sono certamente di grande
attualità nel contesto europeo, scosso da emergenze collegate proprio a inadeguate e
inefficienti misure regolative della scienza (come sta accadendo nel campo della sicurezza
alimentare), oppure dai dubbi e dalle difficoltà nel trovare linee normative comuni rispetto atecnologie suscettibili di controverse applicazioni o potenzialmente pericolose per la salute
pubblica (gli xenotrapianti). Ma al di là del carattere “emergenziale” della regolazione della
scienza, sta acquistando forma l'aspetto “fondativo” che l'interpretazione delle relazioni tra
scienza e diritto può acquisire nella costruzione di un’identità europea. Se certamente molte
disomogeneità nella regolazione internazionale della scienza vanno colmate e se i processi di
globalizzazione impongono l’armonizzazione di standard e procedure, ciò non significa che
una peculiare “cifra culturale europea” nella riflessione sulle connessioni tra scienza, diritto e
democrazia non possa essere fruttuosamente elaborata.
1 COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, European Governance. A White Paper,
Brussels, 25.7.2001, COM(2001) 428 final, http://europa.eu.int/eur-lex/en/com/cnc/2001/com2001_0428en01.pdf.
2 Ibidem.
3 HOUSE OF LORDS, Science and Technology, the 3rd Report, February 2000
Contratto sociale e nuovo contratto tra scienza e società
Il palesarsi di rischi e incertezze collegati all’implementazione sociale della scienza ha portato
alla luce una duplice esigenza. In primo luogo la necessità di estendere la consultazione con
gli scienziati, laddove emergano divisioni di opinione circa il possibile verificarsi di eventi
potenzialmente dannosi; in secondo luogo, l’opportunità di coinvolgere maggiormente i
cittadini in decisioni a base scientifica, ma che toccano direttamente la società civile.
Infatti, pur essendo in generale migliorata la possibilità di accedere a una molteplicità di fonti
informative anche di carattere specialistico, la maggior parte dei dati scientifici su cui gli
esperti basano i propri giudizi non risultano accessibili ai cittadini, o semplicemente in
quanto non disponibili, o perché di difficile comprensibilità nella forma in cui sono espressi.
Ciò che di fatto viene chiesto ai cittadini è di sottoscrivere un tacito rapporto fiduciario nei
confronti dei depositari ufficiali del sapere scientifico. Peraltro, il versante direttamente
sperimentabile per la società civile di quanto gli scienziati asseriscono non consiste tanto nella
validità o validazione degli asserti scientifici, bensì nella loro credibilità sociale. Tuttavia
questa attendibilità della ‘voce della scienza’, che determina concretamente le scelte e
l’evoluzione della società, è finora coincisa essenzialmente con l’autorità indiscussa della
scienza stessa.
Il termine fiducia (trust, confidence (1)) è diventato il concetto di riferimento di numerose
inchieste svolte circa l’atteggiamento o la percezione dei cittadini nei confronti del sapere
scientifico che informa le politiche pubbliche. Le numerose ricerche dedicate alla
comprensione della scienza da parte del pubblico hanno rivelato che le crescenti resistenze
dei cittadini nel fidarsi del parere degli esperti e nell’affidarsi alle loro scelte non possano
essere semplicemente etichettate come irrazionali, ma che esse sono connesse a considerazioni
molteplici, ragionevoli e concrete (2).
Parte della sfiducia che il pubblico dimostra nei confronti degli esperti si ricollega alla limitata
possibilità di accedere alle informazioni, di trovare visibilità e trasparenza nelle procedure di
scelta degli esperti, di operare un controllo sulle credenziali e sui possibili conflitti di interessi
degli esperti coinvolti, di conoscere e confrontare opinioni diverse, di controllare le decisioni
tecnico-scientifiche nel contenuto e nella forma.
Il processo in corso non può essere descritto come un contrasto fra posizioni a favore o contro
la scienza. Il significato e la direzione di tale processo, infatti, non consistono in, e non
muovono verso, una limitazione della scienza e della libertà degli scienziati –se tale libertà è
eticamente qualificata e non è intesa come semplice esplicazione di arbitrio. Si tratta invece di
favorire una comprensione più approfondita dei complessi legami tra scienza e società,
individuando modalità e procedure più adeguate nella determinazione delle scelte
scientifico-tecnologiche alla base delle trasformazioni sociali e civili.
1 Cfr. The TRUSTNET Framework, A New Perspective on Risk Governance, September 1999
2 A. IRWIN, B. WYNNE (eds.), Misunderstanding science? The public reconstruction of science and
technology, Cambridge University Press, Cambridge 1996; P. JENSEN, Public Trust in Scientific
Information, IPTS, 14.9.2000, http://governance.jrc.it/publicperception/ipts.pdf
Politiche della scienza e diritto: science-based policy e policy-related science
Se il problema della regolazione della scienza si sta diffondendo in tutti i paesi insieme ai
processi di globalizzazione, le risposte che ad esso si sono date e si stanno dando appaiono
profondamente diverse, in particolare, per quanto riguarda il rapporto tra Europa e Stati
Uniti.
L’elemento di diversità apparentemente più evidente ed immediato sembra consistere nel
carattere maggiormente science-based, più rigorosamente e oggettivamente informato da fatti e
conoscenze scientifici della regolazione della scienza negli Stati Uniti. I protocolli procedurali
e gli standard delle agenzie federali statunitensi (come, per esempio, il FDA) ha rappresentato
e in parte ancora rappresenta un modello di rigore e serietà.
Un altro elemento di questo modello è rappresentato dall’atteggiamento di apertura e
visibilità delle procedure di regolamentazione; atteggiamento che si realizza principalmente
attraverso la pubblicazione dei progetti di regolamenti e linee-guida al fine di rendere
possibili i commenti del pubblico. Un terzo elemento, che bilancia socialmente –talora con
toni drammatici- la visione positivistica della scienza, è il ruolo rivestito dai giudici nel
governo della scienza.
Per quanto riguarda il contesto europeo, come si è detto, negli ultimi anni molte questioni
scientifiche sono state oggetto di attenzione da parte delle istituzioni comunitarie. Il carattere
innovativo della riflessione europea sull’epistemologia che deve ispirare il governo della
scienza non è solo una risposta pragmatica all’esigenza politica di creare processi decisionali
sufficientemente omogenei e standardizzati in questioni scientifico-tecnologiche
caratterizzate da elevata incertezza. Oltre a questo si può intravedere anche lo sforzo teorico
di elaborare una posizione epistemologica in cui possano riconoscersi la politica e la
regolazione della scienza in Europa.
Molti Paesi europei e le istituzioni comunitarie stanno elaborando un’epistemologia, o più
correttamente un modello di governo della scienza che incorpora una concezione della
scienza, delle istituzioni, della società, e del diritto che ne regola i rapporti.
Le decisioni adottate in tema di trasparenza e pubblicità delle procedure istitutive e
decisionali dei comitati che assistono le istituzioni europee (in particolare la Commissione
Europea) –il cosiddetto tema della comitology (1)-, la problematizzazione e valorizzazione della
percezione pubblica della scienza, la necessità di rendere effettivo il diritto dei cittadini all’informazione (right to know) e alla partecipazione nei processi decisionali relativi a temi
scientifici sono elementi di questo modello.
Se, come si è detto, è un esercizio intellettualistico cercare di separare e trattare come entità
distinte scienza e società –in particolare quando non si tratta di analizzare l’astratto statuto
metodologico delle proposizioni scientifiche, ma di studiare come il sapere scientifico si
sedimenta in istituzioni reali-, un punto ulteriore consiste nell’osservare che la scienza
connessa a, e implicata in, scelte pubbliche (policy-related science) deve essere concettualmente
distinta e deve avere finalità diverse sia dalla scienza pura che da quella applicata (2). La
scienza pura è prevalentemente guidata dalla curiosità del ricercatore, la scienza applicata è
orientata da un progetto e si propone particolari ricadute pratiche. Diversamente da queste, la
scienza destinata a scelte pubbliche deve contribuire alla definizione di questioni che,
dovendo trovare applicazione sociale, sono legate a valutazioni ampie ed esigono in ultima
istanza una scelta politica, anche laddove si presentino come problemi scientifico-tecnici.
Come ha sottolineato un recente rapporto francese, la scienza destinata a scelte pubbliche (3)
attende ancora di trovare un adeguato statuto epistemologico. La definizione di tale statuto
comporta certamente una ‘ibridazione’ tra sapere scientifico e scelte politico-giuridiche che,
nelle parole del rapporto francese, deve dare vita a una scienza pubblica, civica e
legittimamente governata.
L’esigenza di disporre di expertises pluralistici è ricollegabile a svariate ragioni. In primo
luogo, come hanno osservato Lebessis e Paterson, si tratta di rendere il processo decisionale
in tema di scienza più rispondente ai bisogni della società e pertanto più sensibile e collegato
alle richieste della società. Inoltre bisogna ristabilire la connessione tra discipline diverse e
così frammentate da non essere più in grado di dialogare tra loro. Infine, per quanto riguarda
la distanza sia tra le scienze sia tra scienza e società, bisogna fare in modo di rendere esplicite
tutte le assunzioni e le incertezze tacite che si nascondono nei giudizi tanto degli esperti come
dei cittadini (4).
Accanto alla revisione del concetto di parere specialistico, appare opportuno anche il
ripensamento della nozione di ‘esperto’ che, da una ristretta concezione che ricomprendeva
solo gli addetti ai lavori in discipline scientificamente definite, è stata ormai estesa a forme di
conoscenza ed esperienza molteplici e differenziate. Inoltre, è necessario che gli esperti
riconoscano apertamente le situazioni di incertezza scientifica, anche laddove esse possano
generare una situazione di inconclusività nel giudizio che la scienza è chiamata a fornire.
La scienza deve fare, come ha osservato Shepherd, “il meglio che può” (5), dando rilievo agli
spazi di incertezza –e non occultarli o trascurarli-, che devono essere colmati da valutazioni di
genere diverso. Si tratta quindi di una forma di conoscenza che si apre riflessivamente sui
propri limiti, che incorpora l’esigenza di qualità delle proprie modalità di produzione, come
pure tutti gli altri aspetti sociali ed etici che ne determinano il contesto.
Il modo in cui le conoscenze scientifiche, così predisposte, devono poi trovare una traduzione
e una scelta giuridico-politica è ciò che collega il lavoro sull’expertise alla necessità di
elaborare nuovi processi decisionali per le scelte basate su conoscenze scientifiche. Le
proposte avanzate nel quadro delle riforme europee indicano una via di sostanziale
cambiamento nel coinvolgimento e nella partecipazione del pubblico alle scelte scientificotecnologiche.
Queste proposte di riforma della regolazione giuridica della scienza sono state definite da
alcuni autori come una ‘proceduralizzazione cognitiva’ del diritto (6), vale a dire la
trasformazione del diritto in un processo di apprendimento collettivo. Il senso di questa
proceduralizzazione della formazione del quadro regolativo non sarebbe da intendersi in
termini formalistici o di relativismo procedurale, ma come un concreto, contestualizzato e
riflessivo processo di conoscenza, arricchito dal contributo cognitivo interattivo delle
molteplici componenti che concorrono al suo dispiegarsi. Analogamente, se questa
proceduralizzazione non deve essere considerata come una forma di razionalità in sé e per sé,
essa rifugge anche dalla pretesa di poter approdare, solo in virtù del suo pluralismo, a una
stabile verità. Questo processo sia giuridico sia conoscitivo tende piuttosto ad aprire e ad
istituire uno spazio istituzionale di discussione, nel quale il sapere scientifico possa trovare
forme di stabilizzazione sociale più criticamente e democraticamente vagliate, sempre
disposte alla revisione.
Questa disseminazione della conoscenza, non più isolata in un’unica componente sociale –la
comunità scientifica- ma ascritta a molti attori diversi, e non più univocamente concepita
come l’unica forma di sapere –la scienza- ma disaggregata e riaggregata in culture
epistemiche diverse e diversamente rilevanti, ridistribuisce in capo a tutte le parti coinvolte, e
nelle loro reciproche relazioni, le esigenze di credibilità e di accreditamento (accountability).
Ciò significa, per esempio, che il problema della credibilità non riguarda più solo gli esperti,
ma anche coloro –tradizionalmente le ONG- che ne contestano le affermazioni; o anche che i
criteri di accreditamento devono specificarsi in relazione ai soggetti accreditati e accreditanti
e al contenuto specifico dell’accreditamento.
Il risultato complessivo della messa a punto teorica di una ‘filosofia della scienza’ e di una‘filosofia della politica della scienza’ diretta a scelte pubbliche mostra un cambiamento non
solo del contratto tra scienza e società, ma delle basi stesse del ‘contratto sociale’.
1 1999/468/CE: Decisione del Consiglio del 28 giugno 1999 recante modalità per l'esercizio delle
competenze di esecuzione conferite alla Commissione, Gazzetta ufficiale n. L 184 del 17/07/1999,
pp.23-26.
2 S. FUNTOWICZ, I. SHEPHERD, D. WILKINSON, J. RAVETZ, Science and Governance in the European
Union: a contribution to the debate, http://governance.jrc.it/jrc-docs/spp.pdf (pubblicato anche in
"Science and Public Policy" 2000, vol.27, 5, pp.327-336).
3 Colloque international "Science et Société", Intervention de Roger-Gérard Schwartzenberg, 30
novembre 2000 – Paris – La
Sorbonne.
4 N. LEBESSIS, J. PATERSON, Recent developments in institutional and administrative reform, in O. DE
SCHUTTER, N. LEBESSIS, J. PATERSON (eds.), Governance in the European Union, Office for Official
Publications of the European Communities, Luxembourg 2001
http://europa.eu.int/comm/cdp/cahiers/resume/gouvernance_en.pdf., pp.259-305.
5 I. SHEPHERD (ed.), Science and Governance in the European Union. A Contribution to the Debate, March
9, 2000, 2000 EUR 19554 EN, http://governance.jrc.it/scandg-eur.pdf, p.15.
6 J. DE MUNCK, J. LENOBLE, Transformations in the art of governance. A genealogical and historical
examination of changes in the governance of democratic societies, in O. DE SCHUTTER, N. LEBESSIS, J.
PATERSON (eds.), Governance in the European Union, cit., pp.29-51.
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