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PRESENTAZIONE

Filosofia della scienza e filosofia del diritto |Incertezza scientifica |
La co-produzione tra scienza e diritto

L'interesse che, negli ultimi decenni, Stati e governi hanno rivolto alla ricerca scientifica, prima nel campo delle scienze fisiche e poi di quelle biologiche, non è solo cresciuto quantitativamente, ma si è qualitativamente trasformato in un coinvolgimento e in un intervento diretti. Il ruolo trainante che la scienza è venuta assumendo rispetto allo sviluppo economico e sociale ha fatto sì che politica e diritto, da un lato abbiano dovuto dedicare un'attenzione particolare alla regolazione di ambiti connessi alla tecnoscienza (termine che denota la connessione pressoché inestricabile tra scienza e tecnologia) e alle sue applicazioni, dall'altro siano stati pervasi e colonizzati dal sapere scientifico, capillarmente presente nella vita stessa delle istituzioni giuridiche e politiche.

Le conseguenze di queste inedite interazioni tra scienza, politica e diritto sono state molteplici. Come si è detto, molte decisioni in tema di politiche pubbliche dipendono dal sapere scientifico, fondandosi su conoscenze tecnico-scientifiche. In conseguenza di ciò, i diversi poteri dello Stato, gli organi di governo, il potere legislativo e il potere giudiziario, sono stati direttamente coinvolti in scelte scientifico-giuridiche e si sono dovuti dotare di strutture di consulenza specialistica (commissioni e comitati di esperti, consulenti tecnici, periti), tali da poter fornire loro le competenze conoscitive necessarie.

Inoltre, in connessione con la crescita dei settori della vita sociale dominati dal sapere scientifico, i sistemi giuridici hanno intrapreso una capillare attività di regolamentazione nei confronti delle attività e dei prodotti della tecnoscienza, delle procedure interne ed esterne ai laboratori. La commistione tra scienza e società, tra scienza e istituzioni politiche e giuridiche è infatti ormai tale da incidere profondamente sulle strutture e sulle dinamiche istituzionali, sul ruolo dei gruppi che rappresentano categorie di soggetti e di interessi, sulle posizioni dei cittadini, quando non giunga addirittura a far riconoscere l'obsolescenza o la irredimibile inadeguatezza di alcuni concetti e istituti.

In questo complesso panorama, l'unica analisi che sia stata finora svolta dei cambiamenti in atto -in particolare nel nostro paese- è quella bioetica. La bioetica ha messo in luce, a cominciare dalla fine degli anni sessanta, le scelte di valore che l'evoluzione delle scienze della vita facevano emergere, e le ha discusse all'interno dei diversi sistemi di riferimento morali, valutandone le differenti opzioni. Ma i problemi sollevati dai nuovi rapporti tra scienza e società non sono esauriti né sono unicamente riducibili al dibattito bioetico. I problemi, le opzioni e le decisioni che la massiccia implementazione della scienza nella società comporta è ben più estesa. Altri valori -epistemici, giuridici, politici- sono qui in gioco, esigono un'attenta discussione e mancano al momento di una sede teorica e istituzionale di dibattito.

L'intersezione tra scienza, tecnologia e diritto comporta anche la riflessione su temi molto tradizionali nella filosofia del diritto. Si tratta, per esempio, delle visioni epistemologiche rispettivamente sottese a scienza e diritto, e dell'influsso che esse hanno reciprocamente esercitato. Vi sono poi le questioni connesse al significato e alla revisione dell'idea di contratto sociale estesa alla scienza. E si tratta anche dei problemi legati all'interpretazione sia delle proposizioni giuridiche che di quelle scientifiche.

Altri campi di indagine riguardano, inoltre, il ruolo che il sapere scientifico riveste in relazione a settori specifici del diritto positivo (diritto civile, penale, industriale, amministrativo) e le modalità con cui le diverse branche del diritto hanno utilizzato la scienza. L'impiego che della conoscenza scientifica è stato fatto in ambito civilistico -che spazia dalle tecnologie riproduttive al risarcimento del danno ambientale-, penalistico -la definizione di nessi causali probabilistici o l'uso delle tecnologie del DNA-, industrialistico - la determinazione delle soglie di brevettabilità della materia vivente-, rivelano non solo immagini diverse della scienza, maanche qualificazioni e condizioni di rilevanza giuridica differenti. Ognuno di questi settori esige, di conseguenza, un'analisi e una riflessione specifiche.

E' interessante considerare i grovigli descrittivo-normativi che la traduzione giuridica di proposizioni scientifiche genera. Quando una definizione scientifica è adottata in sede normativa, essa stessa acquista il carattere di norma, diventando una 'definizione prescrittiva'. Il decisore giuridico che scelga tra posizioni scientifiche incerte, e le trasformi in asserti giuridici certi, 'valida' con un atto normativo il sapere scientifico. La creazione di nuove entità giuridiche a partire da procedure o prodotti scientifici -come il brevetto sugli organismi geneticamente modificati, lo statuto giuridico di cellule e linee cellulari, etc.-ratifica e legittima l'esistenza dei nuovi oggetti scientifici. In tutti questi casi l'interazione tra scienza e diritto dà luogo a 'ibridi scientifico-giuridici' in cui elementi descrittivi e normativi appaiono intersecati e stratificati.

La complessità degli effetti che derivano dal mescolarsi del dispiegamento sociale della scienza con le regole poste alla base della convivenza civile, nel gioco dinamico di un reciproco prodursi e modificarsi, sta dando origine a forme inedite di conoscenza scientifico¬giuridica, rispetto alle quali la nozione stessa di epistemologia appare limitante.


Filosofia della scienza e filosofia del diritto

Dal secondo dopoguerra in poi, filosofia e sociologia della scienza hanno progressivamente insistito sul carattere non neutrale della conoscenza scientifica e sulla connotazione sociale della comunità scientifica, e hanno messo in discussione il fatto che il sapere scientifico, così come concretamente si articola nei laboratori, nelle industrie e nelle istituzioni possa essere validamente considerato un sapere radicalmente diverso da altre imprese umane di conoscenza (1).

Tuttavia, molti giuristi e filosofi del diritto e della politica hanno continuato a coltivare una visione della scienza più tradizionalmente ‘positivista’. Fin dalle origini del pensiero moderno, infatti le discipline filosofico-politiche e giuridiche hanno individuato nello statuto della scienza le basi di neutralità e oggettività che sembravano perlopiù irrimediabilmente assenti nei sistemi politici e giuridici. Dalle costruzioni logiche dei giuristi all’uso politico che le concezioni di matrice liberale hanno fatto dell’ideale della ‘repubblica della scienza’ (2) -la democraticità intrinseca della comunità scientifica-, la possibilità privilegiata che il metodo della scienza ha offerto ai saperi e alle discipline sociali per emanciparsi dai giudizi di valori e dalle opinioni soggettive è stato esplorato in ogni direzione.

Tale concezione è stata accompagnata anche da una sostanziale astoricità e astrattezza nel modo di guardare sia alla scienza che al diritto. In questa prospettiva la scienza è considerata sia un referente metodologico non eguagliabile sia un’entità separata all’interno della società, per cui ogni parallelo tra sistema scientifico e sistema giuridico può essere pensato solo come lo scambio a distanza tra forme di ‘conoscenza’ contraddistinte da metodologie e finalità sostanzialmente incommensurabili e non comunicanti.

Le contestazioni che, in sede di teoria politico-giuridica (3), sono state mosse ai riflessi che questa visione avalutativa della scienza produceva su politica e diritto non hanno però toccato l’ipotesi di separatezza della scienza, che persiste nell’apparire anche in tali prospettive un sapere a se stante. L’attenzione di queste pensiero critico è stata piuttosto rivolta a giustificare gli elementi valutativi nell’interpretazione e applicazione delle norme giuridiche -in quanto non evitabili nemmeno nell’attività degli scienziati.

Complessivamente, questo atteggiamento ha condizionato anche la regolazione giuridica delle attività e dei prodotti scientifici. Poiché la scienza è considerata come un’istituzione sociale indipendente, che determina con criteri oggettivi le conoscenze da ritenersi valide in una data situazione, il diritto che interagisce con la scienza per regolamentarla è pensato essenzialmente come norma tecnica, destinata a recepire acriticamente conoscenze accertate e valutate altrove.

La qualificazione giuridica delle proposizioni scientifiche è pensata come un’attività scevra da effettivi interventi valutativi, o perché si risolve in un’operazione meccanica –cioè consistente nell’assunzione dei fatti forniti dalla scienza a contenuto delle norme- o perché lascia di fatto intatti nella loro eterogeneità i due sistemi coinvolti –in tal caso la qualificazione giuridica è sì
considerata valutativa, ma in relazione ai propri significati interni, che non incidono sul, né sono toccati dal, sapere scientifico come tale.

Inoltre, fino a tempi non troppo lontani –la fine degli anni Sessanta, se è lecito considerare i problemi ambientali come l’inizio di un sostanziale cambiamento nei rapporti tra scienza e diritto- il contenuto scientifico delle norme giuridiche risultava piuttosto modesto e non si erano determinate situazioni tali da mettere in discussione la neutralità e certezza della scienza che informava settori marginali degli ordinamenti giuridici.

Adottando questa ipotesi di separatezza tra scienza e diritto, la dottrina giuridico-positiva e la riflessione filosofico-giuridica hanno trascurato di considerare che tale concezione risulta poco plausibile quando si guardi ai concreti procedimenti istituzionali e alle pratiche sociali con cui i due sistemi producono e attuano le rispettive conoscenze. Analizzati nel loro concreto operare, infatti, non solo i metodi applicati sono diversi da quelli teorizzati, ma soprattutto i confini tra epistemologia scientifica ed epistemologia giuridica, come pure tra i ‘fatti’ della scienza e le ‘valutazioni’ del diritto, diventano singolarmente confusi.

1 Il riferimento, a partire dal lavoro di Thomas Kuhn, è ai programmi di sociologia ed etnografia della scienza, tra cui si ricorda: D. BLOOR, La dimensione sociale della scienza, Raffaello Cortina, Milano 1994 (London 1976); B. LATOUR, La scienza in azione, Ed. di Comunità, Torino 1998 (Cambridge Mass. 1987)
2 Cfr. M. POLANYI, The Republic of Science, “Minerva” 1962, I, pp.54-73; R.K. MERTON, Science and Democratic Social Structure, in Social Theory and Social Structure, Free Press, New York 1968, pp.604-615. Cfr. anche Y. EZRAHI, The Descent of Icarus, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1990.



Incertezza scientifica

Due fenomeni sono stati all’origine di una diversa consapevolezza e di un deciso cambiamento di prospettiva. Si tratta della crescente dimensione di incertezza del sapere scientifico e dell’impatto sociale delle nuove scienze della vita.

Questi due fenomeni sono per più ragioni correlati. Con l’espressione ‘incertezza della scienza’ si fa allusione a varie forme di indeterminazione del sapere in campo scientifico: la complessità delle conoscenze, la mancanza o l’insufficienza di dati, l’imprevedibilità degli esiti, il carattere stocastico delle previsioni in molti settori di indagine naturalistica (1). Ciò significa che sempre più spesso e in ambiti numerosi la comunità scientifica, chiamata a pronunciarsi in relazione a una questione di scienza che esiga regolazione normativa, non sia in grado di esprimere una posizione certa e univoca, ma presenti una varietà di tesi disparate o parzialmente divergenti. Il carattere sempre aperto del cammino scientifico rappresenta certamente un tratto definitorio di esso, ma la complessità di alcuni campi di ricerca ha radicalizzato tale carattere verso forme di indecidibilità (2). Questa incertezza della scienza rende particolarmente delicata la posizione di chi, investito del compito di intervenire giuridicamente e trovandosi di fronte a una pluralità di descrizioni e previsioni etrogenee, debba scegliere la tesi da privilegiare in via normativa.

Gli sviluppi più recenti delle scienze della vita –scienze ambientali, ingegneria genetica, biotecnologie- hanno contribuito a rafforzare la dimensione di complessità e incertezza del sapere, sia per la loro marcata dimensione tecnologica (e per le conseguenti applicazioni industriali), sia per il forte impatto che esse hanno prodotto sulla società. Come destinataria del progresso scientifico-tecnologico la società riveste, di fatto, una posizione essenziale rispetto alle scelte di politica della scienza, che dovrebbero essere orientate dall’interesse dei cittadini. Ma questa rilevanza della società civile sta acquisendo un crescente rilievo giuridico-politico, nel senso che –nella riflessione teorica e in alcuni progetti di riforma- i cittadini sono ormai considerati partner e co-decisori nelle politiche scientifico-tecnologiche. Inoltre, i cittadini sono toccati direttamente e individualmente dai processi e dai prodotti della tecnoscienza, che non solo influenzano e modificano i comportamenti e gli stili di vita, ma che incidono sui diritti di cui gli individui godono e sono titolari (attività riproduttiva, consumi, salute, etc) anche in assenza di interventi normativi.

La nuova visione del rapporto tra scienza e diritto, che i due fenomeni hanno sollecitato, mette a fuoco l’ineludibile dimensione valutativa, la scelta di valori che permea sia il diritto che la scienza, e che si presenta in forma ancora più complessa nell’interazione tra i due domini (3). Si è così prodotto un radicale sovvertimento delle condizioni che rendevano possibile il rispettoso rapporto a distanza tra scienza e diritto. Sono emersi ambiti in cui la scienza ha creato rischi e si è rivelata largamente incapace di controllarli, e sono aumentate le situazioni in cui il diritto deve integrare la scienza, risultando i dati scientifici incerti, insufficienti o suscettibili di interpretazioni fortemente divergenti.

Un caso interessante è rappresentato in tal senso dal principio di precauzione (4). Emerso come criterio regolativo del diritto ambientale, e divenuto poi principio generale sulla salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e dell’ambiente, il principio di precauzione fornisce indicazioni per il trattamento politico-giuridico dell’incertezza scientifica, stabilendo che gli spazi di incertezza della scienza vengano colmati con misure di tutela dei cittadini. L’esigenza che il diritto intervenga con misure di protezione dei cittadini, anche qualora il possibile verificarsi di un danno non sia stato avallato dalla piena certezza scientifica, costituisce il sintomo di un importante cambiamento nell’epistemologia sottesa alla regolazione giuridica della scienza. Si tratta del passaggio da una visione acritica del sapere scientifico, assunto come oggettivo e scevro da incertezze, a una posizione consapevole della non neutralità delle proposizioni scientifiche.

1 B. WYNNE, Uncertainty and Environmental Learning: Reconceiving Science and Policy in the Preventative Paradigm, “Global Environmental Change” 1992, June, pp.111-127.
2 Cfr. S.O. FUNTOWICZ, Uncertainty and Quality in Science for Policy, Kluwer, Dordrecht 1990; J. R. RAVETZ (ed.), Special Issue: Post-Normal Science, “Futures” 1999, 31.
3 Cfr. R. SMITH, B. WYNNE (eds.), Expert Evidence: Interpreting Science in the Law, London, Routledge 1989.
4 Cfr. COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, Communication from the Commission on the precautionary principle, Brussels 2.2.2000, COM(2000)1.


La co-produzione tra scienza e diritto

Verso la fine degli anni ottanta, un insieme variegato di interessi e ricerche interdisciplinari - filosofia e sociologia della scienza, antropologia, indirizzi di ricerca interessati alla comprensione e al controllo dell’impatto della tecnologia sulla società- hanno mescolato costruttivismo, approccio etnografico all’attività degli scienziati e metodi di demarcazione dei sistemi disciplinari (boundary work (1)), dando avvio agli studi sulla scienza e la tecnologia.

Sintetizzando e semplificando le molteplici linee di ricerca che animano questo ambito disciplinare dai confini ancora aperti e incerti, ma certamente già ricco di contributi autorevoli (2), si può dire che ciò che caratterizza gli S&TS è l’attenzione per le complesse radici storico-culturali del sapere scientifico, per i suoi intricati legami con le scienze sociali, per la dimensione di sapere-potere in esso implicita, per il rapporto tra scienza e società, per le modalità con cui la scienza ha plasmato o permeato le istituzioni politico-giuridiche.

Al centro delle ricerche degli studiosi di S&TS vi sono le dinamiche concrete che integrano scienza e pratiche sociali; e il tipo di riflessione che essi propongono è volto a comprendere non tanto i criteri di validità del sapere scientifico, ma soprattutto le ragioni della ‘credibilità’ sociale della scienza: in altri termini, le modalità con cui le asserzioni degli scienziati, attraverso negoziazioni e procedure di accreditamento, diventano parte del sapere condiviso dalla società.

All’interno degli S&TS, i rapporti tra diritto, public policy e scienza-tecnologia (Science, Technology & Public Policy) (3) sono divenuti oggetto di un interesse dedicato, che estende lo sguardo e applica il metodo della decostruzione all'analisi delle istituzioni investite di funzioni politico-normative in materie scientifico-tecnologiche. Il metodo decostruttivoricostruttivo
non dà luogo a un relativismo destinato a svuotare di senso lo sforzo normativo, ma si rivela piuttosto come strumento di chiarificazione conoscitiva e di consapevolezza critica, autoriflessiva, da offrire a chi svolge il lavoro di creazione e applicazione del diritto.

Il concetto-chiave che anima tale analisi è quello di ‘co-produzione’ (co-production)(4) tra scienza e diritto, l’idea secondo cui i due sistemi della scienza e del diritto esercitano l’uno sull’altro un reciproco gioco di elicitazione, sistematizzazione, sedimentazione e stratificazione di significati scientifico-giuridici. Così intesa, la scienza è un’istituzione sociale dinamica, impegnata insieme ad altre istituzioni nella definizione di un ordine che è al tempo stesso epistemico e sociale. Parimenti, il diritto non si trova in una condizione di recezione passiva rispetto alla scienza, ma di intenzionale creatività, nel senso che esso utilizza e modifica le conoscenze scientifiche secondo le proprie esigenze, stabilendo di volta in volta con grande libertà che cosa sia la scienza legalmente rilevante, quali esperti siano credibili, e come debbano essere interpretati i dati scientifici. Ciò che ne risulta è un processo articolato, in cui da un lato la conoscenza del diritto è necessaria alla comprensione della scienza, dall’altro la scienza è la fonte di molti cambiamenti sociali: i più importanti processi di trasformazione sociale, individuali e collettivi, infatti, si stanno verificando all’ombra dei conflitti innescati dall’intersecarsi di scienza e diritto. L’analisi fondata sull’idea di coproduzione può approfondire la comprensione di questa evoluzione.

1 T. GIERYN, Cultural Boundaries of Science: Credibility on the Line, University of Chicago Press, Chicago 1999.
2 Cfr., per esempio, T. PORTER, Trust un Numbers, Princeton University Press, Princeton NJ 1995; I. HACKING, The Social Construction of What ?, Harvard University Press, Cambridge MA 1999; K. KNORR-CETINA, Epistemic Cultures: How the Sciences Make the Knowledge, Harvard University Press, Cambridge MA 1999.
3 Per esempio: M.L. GOGGIN (ed.), Governing Science and Technology in a Democracy, The University of Tennessee Press, Knoxville 1986. K.R. FOSTER, D.E. BERNSTEIN, P.W. HUBER (eds.), Phantom Risk. Scientific Inference and the Law, M.I.T. Press, Cambridge MA 1993; S. GOLDBERG, Culture Clash. Law and Science in America, New York University Press, New York 1994; H. REECE (ed.), Law and Science, Oxford University Press, Oxford 1998.
4 L’idea è stata tematizzata in particolare da S. JASANOFF, The Fifth Branch. Science Advisers as Policymakers, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1990; La scienza davanti ai giudici, (a cura di M. Tallacchini), Giuffrè, Milano 2001 (Cambridge Mass. 1995); Is Science Socially Constructed -And Can It Still Inform Public Policy?, “Science and Engineering Ethics” 2, 1996, pp.263-276; Beyond Epistemology: Relativism and Engagement in the Politics of Science, “Social Studies of Science” 1996, Vol. 26, No. 2, pp. 393-418.

 


2004 © Facoltà di Giurisprudenza di Catania