Untitled Document
«… il fascismo, diventato regime senza troppe difficoltà, una volta messi brutalmente a tacere gli oppositori attivi, non si accanì con implacabili vessazioni, costrizioni e persecuzioni contro chi non gli si rivelasse, o comunque non fosse scoperto dalla polizia politica, come un attivo nemico, e si appagò di un consenso spesso più fittizio che reale, avvolto com’era dai fumi della osannante retorica. Quel regime fu — più per faciloneria, approssimazione, amor di quieto vivere, e intrinseca fiacchezza e ignoranza, che per autentico spirito di umana tolleranza — una dittatura annacquata e mollificata da una tradizionale e, verrebbe fatto di dire per ogni tempo, italica disposizione alla inefficienza del potere e al compromesso. Qualcosa di abissalmente diverso dal rigore consequenziario del regime nazista... Su questo sfondo, certo non edificante, era tutt’altro che difficile a un giudice, che avesse un po’ di rispetto di sé, fare quel che doveva, senza incorrere in guai grossi e irreparabili. Qualche vantaggio in meno, qualche seccatura in più, tutto qui: un modico prezzo per la tranquillità della propria coscienza. Viltà e cedimenti, che certamente non mancarono, erano spesso dovuti a servitude volontaire» (Alessandro Galante Garrone, Amalek: il dovere della memoria (Milano Rizzoli, 1989) p. 142).