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L’art. 1 del codice civile del 1942 — con il suo «le limitazioni della capacità civile derivanti dall’appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali» — consacrerà la centralità della scelta razzista del legislatore. A proposito del progetto del codice civile, frutto di una ‘malsana tendenza’, già emersa in ‘qualche legge straniera’, nel 1939 Calamandrei così conclude La relatività del concetto di azione: «Progressivo affievolimento del diritto soggettivo, fino a ridursi a un interesse occasionalmente protetto; allargamento del diritto amministrativo a scapito del diritto civile; assorbimento del processo civile nella giurisdizione volontaria o nella giustizia amministrativa; aumento dei poteri discrezionali del giudice; annebbiamento dei confini non solo tra diritto privato e diritto pubblico, ma anche tra diritto sostanziale e diritto processuale; discredito crescente non solo delle codificazioni, ma della stessa legge intesa come norma generale ed astratta, preesistente al giudizio; aspirazione sempre più viva al diritto del caso per caso — tutti questi sono gli aspetti di una crisi che il processualista segue con ansietà nel suo specchio: nel quale si riflette, tradotto in formule di teoria, il vasto travaglio del mondo» (Piero Calamandrei, La relatività del concetto di azione, in Rivista di diritto processuale civile (1939), I, pp. 24-46, citato in Galante Garrone, Amalek, cit., pp. 144-145.)