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«Fino a quel momento, la dignità del giudice (o, più largamente, dell’uomo di legge) consisteva nella difesa a oltranza del principio di legalità, nell’applicazione imperterrita della legge — buona o cattiva, consonante o dissonante che fosse dall’intimo sentire del giudice stesso — contro le soluzioni del ‘caso per caso’ rimesse immediatamente, come si diceva, non alla sua coscienza, ma piuttosto alle direttive del potere, all’arbitrio del padrone. La missione umana dei giuristi, diceva Calamandrei, è proprio questa: «Far sì che le leggi, buone o cattive, siano applicate in modo uguale ai casi uguali, senza parzialità, senza dimenticanze, senza favori». Nell’esercizio di questa professione c’è la «nobiltà di un apostolato»; e nel principio della legalità c’è il «riconoscimento della uguale dignità morale di tutti gli uomini». Era questa la «gioia e la fede del giurista»» (Alessandro Galante Garrone, Amalek, cit., p. 145).